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A dimostrarlo una ricerca dell'Ingv di Catania e Palermo e delle Università di Catania, Napoli e Palermo
Nonostante l’elevato numero di vittime e la devastazione indotta, il terremoto del Belice del 1968 non ha avuto un particolare riscontro nell’attività di ricerca geologica e geofisica nel corso di questi anni. Pochi e tipicamente monodisciplinari sono i lavori scientifici che hanno avuto come oggetto quel terremoto e il suo contesto geodinamico. Per questa ragione, alcuni anni fa un gruppo costituito da ricercatori dell’INGV di Catania e Palermo e dell’Università di Catania (Carmelo Monaco e Giovanni Barreca del dipartimento di Scienze biologiche, gelogiche e ambientali), Napoli e Palermo ha cominciato un lavoro sistematico di raccolta dati e analisi sul terreno che aveva come finalità la comprensione del contesto tettonico e geodinamico che rende la zona della Valle del Belice così esposta al verificarsi di eventi sismici quali quelli del 1968 e quelli che hanno interessato l’area di Selinunte tra il V-IV secolo A.C. e il IV secolo D.C.
Il punto di partenza è stato un set di immagini satellitari “SAR” del satellite ESA ENVISAT acquisiti tra il 2003 e il 2010 e che mostrano una linea netta che taglia in direzione SSW-NNE una vasta area tra Castelvetrano e Campobello di Mazara, separando aree a diversa velocità di deformazione verticale. Non esistendo dati o evidenze di cause antropiche, è stata avviata la seconda fase del lavoro che è consistita nel rilievo di campagna lungo l’allineamento mostrato dalle immagini “SAR” e, in generale, in tutta la Valle del Belice e nella ri-misurazione di alcuni capisaldi GPS della rete di inquadramento cartografico dell’Istituto Geografico Militare denominata IGM95, appunto perché misurata nel 1995.
Dal confronto tra i dati “vecchi” e quelli di nuova acquisizione, si è osservato che i capisaldi a cavallo della linea tra Castelvetrano e Campobello mostravano differenti velocità di deformazione anche in senso orizzontale con una evidente compressione accomodata lungo quella struttura. Il rilievo di campagna ha mostrato, con altrettanta evidenza, l’esistenza di strutture e forme tipiche delle faglie inverse esattamente lungo quella stessa struttura. In particolare sono state rilevate tracce di fratture molto nette che attraversano, lungo la traccia della linea “SAR”, una antica strada dell’età del bronzo e muretti, anche recenti, con evidenti deformazioni legate agli effetti di uno stress compressivo. Inoltre, indagini geochimiche hanno mostrato variazioni nella composizione delle acque dei pozzi e risalite anomale di anidride carbonica al suolo lungo la faglia che, tra l’altro, ha generato alcuni terremoti di basso magnitudo (fino a 3) lo scorso ottobre. Infine, indagini di sismica a riflessione eseguite al largo di Capo Granitola, laddove la faglia evidenziata dal “SAR” prosegue verso mare, mostrano sedimenti molto recenti dislocati che, permettendo di datare con una certa precisione l’età dei movimenti. In corrispondenza della faglia sono state anche osservate intense emissioni di gas in ambiente sottomarino.
L’insieme di queste evidenze ha dunque permesso di affermare che questo tratto della più lunga e articolata faglia che attraversa la Valle del Belice presenta dei tassi di movimento piuttosto accentuati e che queste dislocazioni sono al momento asismiche o da associare a terremoti di bassa magnitudo. Secondo gli autori di questo lavoro, già pubblicato sul “Journal of Geodynamics”, il segmento di faglia costiero è probabilmente da considerare come la sorgente sismotettonica dei terremoti che hanno, in almeno due riprese, distrutto la fiorente città di Selinunte. Dunque l’intero sistema di faglie va ulteriormente studiato e monitorato anche per una corretta valutazione del rischio geologico a cui è esposta la popolazione dell’area che va da Castelvetrano alla Valle del Belice.