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Dicar, studenti progettano un pozzo per dare l’acqua a un villaggio in Senegal

Allievi del Laboratorio di Architettura e Composizione architettonica 2, insieme alla onlus Balouo Salo, realizzeranno anche il nuovo spazio pubblico di Moyafara

25 Novembre 2022
Mariano Campo

Progettare un pozzo per l’estrazione dell’acqua a Moyafara, un piccolo villaggio nel comune di Kolibantang in Senegal. È stato questo il tema dell’esercitazione pratica svolta da circa 60 studenti del laboratorio di Architettura e composizione architettonica 2 del corso di laurea in Ingegneria edile/architettura dell’Università di Catania, tenuto dal prof. Sebastiano D’Urso.

Il tema è stato promosso e concordato con l’associazione Balouo Salo, una onlus fondata dall’ing. Raoul Vecchio, che da quasi un decennio ormai si occupa, attraverso numerose iniziative, di migliorare le condizioni di vita delle comunità più bisognose, intendendo l’architettura come uno strumento per sensibilizzare i giovani, e non solo, di tutto il mondo ai problemi delle popolazioni meno fortunate. «All’interno del nostro laboratorio – aggiunge il prof. D’Urso -, noi vediamo il progetto d’architettura come uno strumento attraverso cui possiamo osservare la società contemporanea e interrogarci sulla condizione dell’uomo, per poi provare a dare risposte e formando progettisti ma anche uomini consapevoli e responsabili del ruolo che assumeranno nella società».

Progetto selezionato, realizzato da Federica Albachiara, Brigitta Baglio, Elena Canicattì, Martina Cantarella, Evelin Pilato e Martina Pistarà, allieve del Laboratorio di Architettura e composizione architettonica II del corso di laurea in Ingegneria edile-architettura, anno accademico 2021-2022 tenuto dal prof. Sebastiano D’Urso

Facile quindi trovare una sinergia d’intenti con l’associazione che nel 2016 ha promosso il “Kaira Looro International workshop. Architecture for Senegal” in collaborazione con l’Inarch Sicilia e il laboratorio del Dicar, e da allora organizza ogni anno il concorso internazionale Kaira Looro/Architecture for peace. Architecture Competition”, indicando di volta in volta – come tema del concorso e dei workshop – un allevamento di pesci e ostriche, modelli di abitazione, un centro di raccolta e distribuzione di acqua e riso, un centro di insegnamento e produzione della kora (un tipico strumento musicale senegalese), una sartoria, un mercato all’aperto, un’officina di piroghe, spazi per l’educazione infantile e l’assistenza sanitaria, edifici di architettura sacra, un centro culturale, una casa per le donne e un padiglione della pace, un centro operativo per l’emergenza e una casa per le donne.

Il gruppo al lavoro sul progetto è composto dagli studenti Federica Albachiara, Brigitta Baglio, Elena Canicattì, Martina Cantarella, Evelin Pilato, Martina Pistarà, con il coordinamento dei membri di Balouo Salo, Raoul Vecchio, Dario Distefano e Mamath NDiane e dei docenti Sebastiano D’Urso e Grazia Maria Nicolosi del dipartimento di Ingegneria civile e Architettura dell’Ateneo catanese.

I giovani progettisti si sono preliminarmente confrontati con gli ingegneri Raoul Vecchio e Dario Distefano, e con il griot (musicista, poeta e cantore senegalese) Jali Diabate. Il quadro delle richieste e dei bisogni si è così sempre di più definito e gli allievi del laboratorio hanno potuto comprendere le reali difficoltà quotidiane di chi l’acqua non la vede sgorgare facilmente da un rubinetto senza conoscerne la provenienza. Il primo ‘step’ per i giovani progettisti è stato, infatti, quello di immedesimarsi nelle condizioni difficili di chi per lavarsi, cucinare e lavare i panni è costretto, tutti i giorni e più volte al giorno, a recarsi a piedi fino al pozzo più vicino, per riempire un recipiente di circa 20-25 litri che poi trasporterà sul capo fino a casa. E di solito è un compito che svolgono le donne del villaggio, anche se in gravidanza.

La richiesta però era anche quella di immaginare una soluzione dello spazio pubblico intorno al pozzo, alla luce delle attività e delle azioni che di solito vo si possono svolgere in Senegal. Infatti, non si va al pozzo solo per l’acqua da portare a casa, ma per lavare i panni, per abbeverare gli animali, per pregare dopo aver fatto le abluzioni, giocare, socializzare e scambiarsi informazioni e per cercare un po’ di refrigerio.

I racconti del griot Diabate e le richieste degli abitanti del villaggio sono stati recepiti e declinati nei dieci progetti redatti nel Laboratorio, da realizzare con i materiali e i mezzi a disposizione delle maestranze locali, da sostenere con fondi provenienti da donazioni e dal ricavato di altri progetti (per sapere come contribuire all’acquisto dei materiali o al pagamento della manodopera si può scrivere una mail a donors@balouosalo.com). «Gli elaborati sono tutti interessanti e animati dalla voglia di dare un contributo reale – osserva il prof. D’Urso – e offrono un ventaglio di idee e soluzioni utili da proporre come possibili scenari di uno spazio che svolga funzioni di natura diversa, da quella culturale a quella sociale, dall’approvvigionamento dell’acqua alla preghiera. Abbiamo selezionato quello che sembra più facilmente replicabile, e lo stiamo dettagliando per proporlo alla comunità beneficiaria, accogliendo man mano le indicazioni che continuerà a trasmetterci dal Senegal l’ing. Vecchio».

Foto di parte del gruppo di progettazione, che ritrae a partire da sinistra: Sebastiano D’Urso, Raoul Vecchio, Martina Pistarà, Elena Canicattì, Brigitta Baglio, Evelin Pilato, Martina Cantarella, Grazia Maria Nicolosi e Dario Distefano

Il pozzo, con una sezione di circa 30 centimetri, sarà realizzato con una trivella capace di intercettare la falda acquifera a 30-40 metri di profondità, e non più 18 metri come previsto dall’ipotesi iniziale. Dovrebbe migliorare le condizioni di circa 2 mila persone. Il progetto architettonico sta quindi già cambiando in funzione del metodo di scavo del pozzo e allo stesso tempo sta cercando di dare risposta alla richiesta più complessa del processo progettuale, continuare a immedesimarsi nelle condizioni locali. Immedesimazione necessaria anche per la realizzazione concreta dei manufatti, perseguita optando per la semplicità e l’immediatezza delle soluzioni e l’intuitività delle operazioni da svolgere, nel rispetto delle esigenze primarie dei beneficiari del pozzo e di chi fruirà dello spazio circostante.

«Il progetto è di fatto un processo – conclude il prof. D’Urso -, pronto a modificarsi sulla base delle nuove istanze degli abitanti, spesso difficili da comprendere da chi non è completamente immerso in quella realtà. E ciò che colpisce è che gli abitanti che attendono di essere coinvolti in prima persona e di partecipare al processo, non come estranei utilizzatori finali ma come co-artefici del loro destino. Ciò ha regalato entusiasmo e passione agli allievi del corso, che stanno mostrando una gran voglia di dare un contributo concreto alla soluzione di problemi che l’uomo del XXI secolo non dovrebbe più avere».