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Nell’Auditorium della Purità si è tenuto un incontro promosso nell'ambito del Dottorato di ricerca in Giurisprudenza
Quale utilità nasce dal diritto? Quale il suo fine, sia nell’antichità che oggi? A quali sfide, proprie di un mondo in continuo cambiamento, il sistema giuridico occidentale è chiamato oggi e per l’avvenire? E quali debbono essere gli aspetti propri delle professioni giuridiche? Sono soltanto alcune delle domande alle quali hanno cercato di rispondere i due autorevoli Relatori che si sono confrontati su una tematica tanto affascinante presso l’Auditorium della Purità a Catania lo scorso 23 aprile: il prof. Aldo Schiavone, storico del Diritto Romano e già ordinario della Scuola Normale Superiore di Pisa, autore di una nuova e aggiornata edizione del volume ‘Ius. L’invenzione del diritto in Occidente’; il prof. Vincenzo di Cataldo, ordinario di Diritto Commerciale del Dipartimento di Giurisprudenza di Catania, autore, a sua volta, del libro ‘A cosa serve il diritto’.
Il seminario, che rientra nel ciclo di incontri periodici relativi al Dottorato di ricerca in Giurisprudenza, si è aperto con i saluti da parte del direttore del Dipartimento, prof. Roberto Pennisi, il quale è entrato subito in medias res, mettendo in evidenza non soltanto l’utilità del diritto, ma soprattutto la necessità di spiegare ciò ai non addetti ai lavori. Nel ribadire questo concetto – ha proseguito – occorre mettere in guardia contro l’enfasi che i media assegnano al potere, il quale si contrappone al diritto, nato proprio per limitarlo. Tale ultima considerazione ha costituito, poi, il filo conduttore dell’intero dibattito.
Ha preso poi la parola la prof.ssa Sara Longo, ordinaria di Istituzioni di Diritto Romano del Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Catania, la quale, dopo aver evidenziato le tappe salienti dei percorsi scientifici dei due Relatori, ha iniziato con il presentare il lavoro del prof. Schiavone; il libro di quest’ultimo – ha spiegato la Docente – «è giunto, dopo tredici anni dalla sua prima comparsa sulla scena, alla sua seconda edizione, profondamente riveduta e aggiornata, ma anche animata da una prospettiva diversa da quella che aveva contraddistinto l’edizione del 2005, una nuova prospettiva nella quale ius, considerato prima una conclusione e un congedo, diventa invece un punto di partenza e una speranza».
È stata, quindi, la volta dello storico del Diritto, il quale ha insistito sulla specificità della creazione romana del ius quale sistema normativo del tutto peculiare e sconosciuto alle altre esperienze dell’antichità, dalla Grecia agli imperi mediorientali. Roma – ha proseguito Schiavone – «ha saputo consegnarci una eredità grandiosa che ha informato e strutturato il sistema di regolamentazione dei rapporti sociali di tutto l’Occidente e, oggi, questa eredità si sta espandendo sempre più, influenzando realtà lontane da noi, come le società dell’Estremo oriente». Infine, non ha mancato di sottolineare come la specificità del genio romano sia consistita, anche e soprattutto, nel creare un complesso ordinamentale del tutto separato dagli altri sistemi di regole (per esempio, la religione), «autocentrato» e in grado di opporsi a un altro «modello di sovranità» – così lo ha definito – rappresentato dal potere politico. Rimane, infine, una domanda, alla quale non è facile rispondere: perché il ius è nato a Roma e non altrove?
Dopo l’intervento di Schiavone, la prof.ssa Longo è passata a presentare il libro del prof. Di Cataldo, sottolineando come siffatto lavoro presenti una doppia anima, in quanto da un lato è rivolto a tutti, mentre dall’altro presenta una particolare inclinazione verso un pubblico di specialisti, ai quali sottopone grandi questioni, come le problematiche legate alla configurazione del diritto naturale oppure la ricerca di vie di composizione delle liti, alternative alla tradizionale modalità di ricorso ai tribunali.
Il docente di Diritto Commerciale del nostro dipartimento, pur non essendo uno storico, ha posto la questione della finalità per cui i Romani hanno creato il ius e, dal suo punto di vista, «l’invenzione» non causale del diritto avrebbe riflesso il desiderio egemonico di Roma. Chiaramente – ha proseguito Di Cataldo – «il ius ha presentato una mutevolezza nel corso della sua millenaria esperienza e ciò non soltanto nel suo atteggiarsi interno, ma anche in relazione ai fattori con cui si è dovuto confrontare ovvero le esigenze alle quali ha dovuto rispondere». D’altro canto – ha continuato – «ancora oggi assistiamo a nuovi e significativi fenomeni di un profondo mutamento in atto, come lo scontro tra l’Occidente e il mondo islamico»; quindi è stato citato l’esempio della diversa configurazione che riceve oggi il contratto, destinatario di un’attenzione da parte del legislatore europeo che il codice civile del 1942, nel definirlo, non avrebbe potuto conoscere. In secondo luogo, il prof. Di Cataldo ha posto l’accento sulla necessità di contenere l’eccessiva specializzazione delle professioni giuridiche, le quali, così facendo, raggiungerebbero livelli di incomunicabilità tra di loro, pur essendo tutte figlie dell’unica scienza giuridica: «Appare necessario» – ha osservato il Relatore – «recuperare l’unitarietà del sapere e della metodologia giuridici, dalla cui mancanza scaturisce spesso proprio la difficoltà di comprensione, come non poche volte avviene tra giudici e avvocati». Infine, chiudendo l’intervento, ha espresso la sua idea di similitudine tra il modus procedendi della creazione normativa e quello della selezione naturale che connota il meccanismo evolutivo degli esseri viventi: in sostanza, per lo Studioso di Diritto commerciale, il processo di formazione delle norme è talmente complesso, anche per gli addetti ai lavori, che è inevitabile procedere per tentativi ed errori, sino ad arrivare a un esito che possa rispondere in maniera satisfattiva alle esigenze della società.