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Presentata al Palazzo centrale l'esperienza della Start-up Nation israeliana
Da una parte ci vogliono cervelli e idee, passione e desiderio di riuscire, dall’altra la spinta del governo, gli investimenti privati e il venture capital, la collaborazione con le multinazionali. E soprattutto università e centri di ricerca, che rappresentano il primo anello della catena dell’innovazione.
Sono questi gli ingredienti per trasformare un Paese in una vera e propria ‘Start-up Nation”, ossia la culla privilegiata di imprese che nascono e fioriscono intorno all’innovazione tecnologica, così come dimostra l’emblematica esperienza di Israele. Ne hanno parlato, nel corso della conferenza dal titolo “Ricerca e formazione per la costruzione di un ecosistema innovativo”, che si è tenuta martedì 17 ottobre nell’aula magna del Palazzo centrale dell’Università, su iniziativa dell’Ateneo e dell’Ambasciata d’Israele in Italia, l’ambasciatore Ofer Sachs, la vice presidente della Israel Innovation Authority Anya Eldan e il general manager del Bronica Center for Entrepreneurship, Technion-Israel Institute of Technology Rafi Nave.
La valenza dell’incontro è stata inoltre sottolineata dal prof. Giacomo Pignataro, economista e già rettore dell’Ateneo, che ha sottolineato “le opportunità che potrebbero derivare anche per i nostri giovani se si seguisse l’esempio israeliano, quello di un Paese, cioè, che investe oltre il 4% del suo Pil in ricerca e formazione, mentre in Italia si supera di poco l’1%, dimostrando con i fatti di voler supportare concretamente tutte le nuove idee imprenditoriali”; e dal prorettore Giancarlo Magnano San Lio, che ha riferito di un incontro preliminare con la delegazione israeliana, nel corso della quale sono stati prospettati alcuni ambiti di collaborazione interaccademica.
E’ toccato all’ambasciatore Sachs fornire al pubblico presente le coordinate più significative. “Siamo una nazione relativamente giovane – ha spiegato il diplomatico -, con 9 milioni di persone e una natalità elevata, che ha saputo far tesoro della differenza di provenienza e culture dei suoi abitanti, che nel 1948 si trasferirono nel nascente stato da ogni parte del mondo. In un ventennio, siamo passati da un’economia prevalentemente agricola e manifatturiera a un sistema basato sull’innovazione tecnologica, in grado di produrre ricchezza e valore e di favorire l’insediamento di imprese straniere”.
“Costruire un ecosistema innovativo – hanno poi spiegato Anya Eldan e Rafi Nave – non è un processo difficoltoso ma va perseguito sistematicamente, a patto che si disponga di sufficiente determinazione, spirito imprenditoriale e supporto istituzionale, ma anche e soprattutto di una visione a lungo termine basata su una sana collaborazione tra pubblico e privato”.
E’ stato in particolare evidenziato a più riprese il ruolo propulsivo dell’Autorità per l’Innovazione, che ha rimpiazzato di recente l’Office of the Chief Scientist, ossia l’organizzazione afferente al ministero dell’Economia israeliano che per oltre 45 anni ha sostenuto e di fatto reso possibile la trasformazione del Paese in un ecosistema dell’innovazione, e gestisce fondi governativi per 500 milioni di dollari all’anno.
Alcuni effetti di questa azione di investimenti virtuosi in sviluppo e ricerca sono sotto gli occhi di tutti: l’hi-tech in Israele è un settore che, pur impiegando appena l’8% della forza lavoro industriale totale, da solo genera il 13% del prodotto interno lordo nazionale, oltre a essere responsabile per ben il 50% delle esportazioni. Così come sono rilevanti gli investimenti esteri attratti (5 miliardi di dollari nel solo 2016), e l’interesse di 300 multinazionali hi-tech venute ad aprire centri di ricerca e sviluppo in Israele (tra queste anche Facebook, Amazon, Google, Apple, Huawei). Gli ultimi dati poi raccontano di un fertilissimo ‘sottobosco’ con circa 5 mila startup, molte delle quali concretamente incoraggiate dall’Agenzia che però punta a favorire il coinvolgimento di investitori privati, lasciando che sia poi il mercato a far decollare i migliori.