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A quasi cento anni dalla scomparsa del regista un fascicolo ritrovato dal Centro teatrale "FabbricaTeatro" getta nuove ombre sul giallo riguardante la morte di Martoglio. Ai Benedettini un convegno per illustrare le nuove teorie
Per quasi un secolo si è pensato che la morte di Nino Martoglio, avvenuta tra il 15 e il 16 settembre 1921 all'interno del padiglione pediatrico “Costanza Gravina” dell'ospedale Vittorio Emanuele di Catania fosse stata un incidente: una disattenzione che il regista catanese ha pagato caro, cadendo sul fondo del pozzo luce, tuttora esistente, del reparto pediatrico a quel tempo in ristrutturazione ed inaugurato soltanto l'anno seguente.
Oggi, grazie all’associazione “Fabbricateatro”, il caso si può riaprire. Il centro teatrale, infatti, nell’ambito di una più ampia ricerca documentale condotta nell’Archivio storico di Catania, ha ritrovato nei mesi scorsi il fascicolo d'indagine aperto all'epoca dei fatti e archiviato con un non luogo a procedere, nel gennaio del 1922.
Per risolvere il “cold case” è stato coinvolto il prof. Cristoforo Pomara, ordinario di Medicina legale dell’Università di Catania, che ha realizzato una perizia valutativa del verbale autoptico redatto dopo l'ispezione del cadavere dello scrittore e contenuto nel fascicolo ritrovato. Per illustrare alla cittadinanza queste nuove acquisizioni e le successive indagini, l’associazione “Fabbricateatro”, in collaborazione con l’Ateneo catanese e l’Azienda ospedaliero-universitaria “Policlinico – Vittorio Emanuele” di Catania ha organizzato il convegno dal titolo “L’Affaire Nino Martoglio: verso il centenario dalla scomparsa” che si è tenuto questa mattina nel Coro di Notte del Monastero dei Benedettini.
“Lo studio e l'interpretazione dei documenti compresi nel fascicolo – ha spiegato il regista di “Fabbricateatro” Elio Gimbo – accendono certamente un faro sulla dinamica di una morte che all'epoca fu arbitrariamente rubricata ad incidente per responsabilità della vittima stessa e che oggi può con ogni probabilità essere descritta come un omicidio volontario conseguente ad un agguato, ma sono inoltre un importante testimonianza documentale sulla condizione organizzativa e sanitaria dell'ospedale Vittorio Emanuele, storico ospedale nel cuore del centro storico cittadino all'indomani della Grande Guerra”.
“Alla luce delle indagini da noi effettuate – ha evidenziato il prof. Pomara – si può affermare che all’epoca dei fatti gli studi medico-legali furono condotti in maniera assai superficiale. Da un punto di vista metodologico e accertativo, infatti, la trattatistica dell’epoca avrebbe richiesto un approccio più scrupoloso. Non furono descritte le caratteristiche somatiche del Martoglio, non furono studiati i fattori tanato-cronologico come ipostasi, rigidità e temperatura e soprattutto non venne eseguito l’esame autoptico. Non venne inoltre studiato effettuato un esame completo della lesione”.
Ma il Martoglio fu ucciso o fu solo un incidente? Alcuni esperti hanno ipotizzato un’aggressione con corpo contundente in quanto da una caduta come quella del Martoglio ci si aspetterebbe una lesività cranica ben diversa da quella descritta dal medico legale. Secondo questa ipotesi, le lesioni descritte lasciano invece intuire una dinamica diversa. “Ad oggi PERò – ha evidenziato ancora Pomara - non è possibile stabilire con certezza se egli fu vittima di una aggressione con corpo contundente in quanto l’accertamento metodologico all’epoca fu molto carente. In realtà basterebbe poco: attraverso una semplice tac dei suoi resti scheletrici potremmo capire il numero e la natura delle lesioni. Se la ferita descritta nel capo fosse l’unica avremmo la prova scientifica che il Martoglio è stato ucciso e successivamente gettato nel pozzo. Il mistero vive ma può essere risolto attraverso l’approccio metodologico scientifico moderno”.
“Si tratta di una iniziativa un po’ inconsueta per il nostro dipartimento, perché mette insieme diverse professionalità – ha sottolineato il direttore del dipartimento di Scienze umanistiche (Disum) Marina Paino aprendo i lavori-. Quando però mi è stato proposto questo incontro ho accettato di buon grado perché la decisione da parte degli organizzatori di tenere questo convegno ai Benedettini si sposa perfettamente con gli obiettivi del nostro dipartimento, che ha sempre lavorato in una prospettiva multidisciplinare".
Sull’interdisciplinarietà dell’appuntamento odierno ha posto l’accento anche il rettore Francesco Basile, che, alla presenza del direttore generale del Policlinico di Catania Giampiero Bonaccorsi e dell’assessore alla Cultura del Comune di Catania Barbara Mirabella - ha evidenziato l’importanza di un convegno “che coinvolge alcuni settori chiave della vita universitaria. Il raccordo tra le diverse discipline, anche apparentemente molto diverse fra di loro è fondamentale per la crescita di un Ateneo generalista come il nostro. In questo senso, l’incontro di oggi è esemplificativo, perché tratta un medesimo argomento da quattro diversi punti di vista: medico, letterario, storico e giudiziario”.
Nella prospettiva interdisciplinare che ha caratterizzato il convegno sono intervenuti, oltre al prof. Pomara e al regista Elio Gimbo, anche gli studiosi di Letteratura italiana Antonio Di Grado e Rita Verdirame, che hanno parlato della letteratura italiana nel primo ventennio del XX secolo, gli storici del dipartimento di Scienze politiche e sociali Giuseppe Barone e Giovanna Canciullo (quest’ultima esperta di storiografia del nosocomio Vittorio Emanuele). Dell’aspetto giuridico del problema ha parlato il procuratore aggiunto della Procura di Catania Ignazio Fonzo.