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L'analisi del prof. Santo Di Nuovo, presidente dell'Associazione italiana di Psicologia
Bambini, disabili e anziani. Sono queste le categorie che, secondo il prof. Santo Di Nuovo, ordinario Di Psicologia generale nel dipartimento di Scienze della Formazione dell’Università di Catania e presidente dell’Associazione italiana di Psicologia, sentono maggiormente l’isolamento sociale a cui siamo costretti dall’emergenze epidemiologica in atto. Il docente catanese ha risposto ad alcune domande sull’argomento, evidenziando diverse criticità.
I bambini risentono di questo isolamento più degli adulti? Quali sono gli effetti di questo isolamento sui bambini?
All’isolamento sociale forzato durante questa epidemia ognuno risponde diversamente, in base alle sue risorse e alle capacità di resistenza. Più difficoltà incontrano quelli che hanno risorse e resistenze più limitate: gli anziani, i disabili, i bambini. Per loro l’effetto dell’isolamento e della chiusura in casa, il cambio delle abitudini e dello stile di vita è più pesante. Le alternative sono difficili da comprendere e da gestire. Ovviamente per i bambini queste difficoltà sono diverse in base all’età, e al livello di capacità cognitive: pensiamo ai tanti bambini con disabilità intellettiva o con autismo, che non riescono bene a comprendere ed elaborare cosa è questo virus cattivo di cui sentono parlare, perché la loro vita cambia, cosa li aspetta in futuro. Lo stesso per i bambini piccoli, che percepiscono l’ansia dei genitori ma non ne capiscono il motivo, e non hanno le possibilità dei ragazzi più grandi, che si tengono in contatto con gli amici e i compagni tramite i social media.
Cosa possono fare le famiglie con bambini in casa per affrontare questo momento? Ci sono delle attività specifiche che i genitori possono proporre ai loro bimbi?
Indicazioni su come occupare i bambini durante l’isolamento se ne trovano tante su internet. Anche in questo caso, dipende dall’età. Se sono piccoli fateli uscire ogni tanto, nel condominio se possibile, altrimenti attorno ad esso. Mantenendo tutte le distanze di sicurezza, certo. Però mi pare strano che si possano fare uscire i cani, solo perché i “bisogni” devono farli fuori casa, e non i bambini che hanno altri bisogni: di muoversi, di prendere aria e sole, di uscire dalle mura di una casa spesso troppo stretta per loro. Spero che sindaci e poliziotti (genitori anch’essi) siano comprensivi su questo se le sicurezze prescritte sono rispettate e si fanno piccole passeggiate attorno casa, non gite fuori porta o al mare o ai monti…
Se i figli sono più grandi, non lasciateli ai videogiochi o ai programmi televisivi, per quanto istruttivi possano essere: a stare soli davanti ad uno schermo lo avevano già imparato prima dell’epidemia, che adesso li giustifica e quasi li obbliga a passare il tempo così. Non li invogliate a chattare continuamente, pensando così di compensare la mancanza di rapporti diretti: anche questo lo pensano già da sé, ma funziona solo in parte.
Giocate con loro, leggete con loro, guardate insieme un programma o un film, anche se sono adatti per le loro età: spesso giochi, libri e film per ragazzi sono più rilassanti di quelli per adulti. Soprattutto passate tempo con loro: si meraviglieranno perché per loro è una cosa nuova, ma in fondo lo desiderano. Se sono piccoli sarà più facile, se adolescenti bisogna creare il clima giusto. State presenti, senza essere invasivi o oppressivi, ma con leggerezza e affetto, e questa forzata convivenza sarà servita a qualcosa.
Con la didattica a distanza, i bambini ormai frequentano le lezioni da casa, ma spesso i genitori sono costretti a sostituirsi ai maestri. Sappiamo che per i bambini l’autorità del genitore è diversa da quella dei maestri . Che consiglio può dare a i genitori per farsi ascoltare e per acquisire credibilità agli occhi dei figli anche in ambito scolastico?
La didattica a distanza è una compensazione, non una vera e piena alternativa. Per i bambini questo è particolarmente vero: specialmente per la scuola dell’infanzia, ma anche per gli adolescenti, se è vero che a scuola l’apprendimento è cooperativo e la relazione diretta con gli insegnanti e col gruppo-classe è essenziale. Da casa si può compensare tutto ciò? Poco, e non sono certo i genitori a poter supplire in tutto e per tutto. Non ne sono preparati, non hanno gli strumenti. Non è solo una questione di autorità. Il loro compito non è di imporre ai figli cosa fare, e bacchettarli se sbagliano: è quello di fornire un contesto sicuro, un clima rassicurante, che facilita lo studio e l’apprendimento anche in condizioni speciali quali sono queste che stiamo attraversando. La famiglia è un supporto, soprattutto emotivo, può sostenere l’interesse per lo studio e magari aiutare in qualche aspetto, se il livello culturale lo consente. Ma lo consente poco, purtroppo, nelle condizioni di disagio sociale in cui è la scuola che compensa le carenze familiari, non viceversa. Che sono i casi più problematici di cui parlavo prima, dove la didattica telematica è difficile magari perché mancano i mezzi tecnologici e culturali. Una promozione generalizzata, come si prospetta, non serve certo al progresso reale dei ragazzi. Ma siamo in tempo di guerra, si dice, e in questi tempi forse davvero non si può fare di più. Consapevoli però del rischio che si corre: chi è più indietro resterà ancora più indietro, e questo distacco andrà recuperato in qualche modo quando la situazione sarà normalizzata.
Tornando alla normalità, i bambini vivranno un periodo di riadattamento? Come va affrontato?
Speriamo tutti che arrivi presto la “fase 2”, ma il tema del riadattamento sarà da affrontare in tempi lunghi. Come nei dopoguerra, o dopo un grave incidente o una malattia, i contraccolpi saranno difficili da assestare, specie nelle personalità più fragili. Queste andranno sostenute seriamente, e con un impegno che richiederà strutture e supporti diversi da quelli precedenti l’epidemia. Non è per promuovere la mia categoria professionale, ma ritengo utile un aumento dei servizi psico-pedagogici per le scuole e per le famiglie. Come presidente della Associazione degli psicologi italiani sto facendo per conto del Ministero della Salute un censimento delle strutture che offrono in via telematica servizi di sostegno psicologico sui problemi legati all’emergenza. Sono tante, ma altrettante se non di più dovranno essere, e non solo a distanza, dopo che la fase critica dell’epidemia sarà passata. Per evitare la corsa frenetica ai contatti sociali (il “liberi tutti” che si preannuncia anche se non imminente), il rimbalzo dello ‘stare fuori’ per compensare la reclusione forzata, ma anche le conseguenze emotive deleterie di uno stress prolungato e non elaborato. Insomma per ricostruire il tessuto sociale, e attivare quella resilienza che tutti diciamo essere necessaria per tornare alla ‘normalità’, anzi rafforzati nelle nostre capacità di difesa e di relazioni positive e gratificanti. E le categorie più deboli, bambini, disabili, anziani, devono essere aiutate più di tutte.
Invece i genitori come possono “prendersi del tempo” senza sentirsi in difetto?
Se i genitori non controllano la loro ansia in questi momenti difficili per tutti non possono certo aiutare i figli, che anzi assorbiranno la loro ansia aumentando la propria. Per gestire lo stress i genitori devono rinsaldare le proprie sicurezze, personali e di coppia, quindi avere tempo per sé: quel tempo che non si ha nella “normale” vita quotidiana e che adesso, in quarantena forzata, si può in parte riconquistare.
Ricordiamo che genitori che fanno tutto freneticamente inducono nei loro figli la stessa smania impaziente di fare tutto presto: veloci a scuola al mattino, poi compiti a casa, lezione di musica o danza, visita dal dentista, videogiochi dove vince chi finisce prima, chat continua, tutto senza fermarsi mai. Diceva Eraclito che “il tempo è un gioco, che i bambini sanno giocare bene”: sono gli adulti ad insegnare presto ai loro piccoli che il tempo non è un gioco ma una cosa seria, un vuoto da riempire continuamente di attività perché alla fine si esaurisce e ci esaurisce. Il tempo per noi stessi è fare una cosa alla volta, senza essere sempre in “multitasking” che sembra essere il vanto della vostra modernità, rilassarsi al sole, godersi un tramonto, ascoltare una musica rilassante, chiacchierare con un amico, al di là della mail o di un whatsapp di poche righe veloci.
La pausa forzata, cui il virus ci ha costretti, ci dà la possibilità di imparare che i tempi lenti sono forse non meno produttivi di quelli frenetici cui siamo abituati (chi è stressato dalla fretta produce di meno e comunque peggio). Ma i tempi lenti fanno vivere più serenamente, e insegnano ai nostri figli ad essere sereni, vivendo il tempo senza sprecarlo correndo sempre, a volte senza senso. Se impareremo questo, anche il virus cattivo ci avrà lasciato una eredità positiva.
Emergenza Covid / Il contributo dell'Università di Catania