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Covid-19: nuovo approccio farmacologico evidenziato da ricerca internazionale

Lo studio internazionale è stato coordinato dal prof. Ferdinando Nicoletti dell’Università di Catania. Lo studio è stato pubblicato sulla prestigiosa rivista di settore immunologico “Autoimmunity Reviews”

14 Maggio 2020
Alfio Russo

Comprensione dei meccanismi patogenetici del Covid-19, differenze biologiche che sottendono la maggiore resistenza femminile alla contrazione di forme aggressive di malattia e identificazione di farmaci immediatamente disponibili per il trattamento.  È quanto emerge da uno studio internazionale – dal titolo Transcriptional landscape of SARS-CoV-2 infection dismantles pathogenic pathways activated by the virus, proposes unique sex-specific differences and predicts tailored therapeutic strategies - condotto da un team etneo coordinato da Ferdinando Nicoletti, ordinario di Patologia generale del Dipartimento Biometec dell’Università di Catania, pubblicato sulla prestigiosa rivista di settore immunologico “Autoimmunity Reviews”.

Lo studio è stato realizzato con i contributi di figure di primo piano dell’immunologia mondiale – i docenti Yehuda Shoenfeld dell’Università di Tel-Aviv e Klaus Bendtzen del Rigshopsitalet University Hospital di Copenhagen – e del reparto di Malattie infettive dell’ospedale “Cannizzaro” di Catania diretto dal dott. Carmelo Iacobello e dell‘IRCCS “Bonino-Pulejo” di Messina sotto la direzione scientifica del prof. Placido Bramanti. Prezioso il contributo del ricercatore etneo Paolo Fagone (collaboratore del prof. Nicoletti) che ha approfondito gli studi sugli approcci farmacogenomici alla Penn University di Philadelphia sotto la guida del prof. David Weiner, uno dei virologi di maggiore fama internazionale.

Da sinistra Ferdinando Nicoletti, Placido Bramanti e Carmelo Iacobello

Nella foto da sinistra Ferdinando Nicoletti, Placido Bramanti e Carmelo Iacobello

«Lo studio - spiega il prof. Nicoletti che collabora da anni con i professori Bendtzen, Weiner e Shoenfeld - evidenzia strette interazioni del Covid-19 con componenti del nostro sistema immunitario, in particolare del sistema dell’immunità innata. In soggetti con alcune predisposizioni genetiche, che stiamo analizzando, la risposta immunitaria diventa fattore patogenetico nel determinismo di gravi sintomatologie cliniche del Covid-19 come la “sindrome da stress respiratorio” e fenomeni tromboembolici a sintomatologia e gravità clinica variabile, da lievi manifestazioni a quadri più gravi e frequentemente letali di coagulazione intravascolare disseminata. Lo studio evidenzia anche alcuni fattori biomolecolari che potrebbero spiegare la maggiore resistenza del sesso femminile allo sviluppo di forme infettive marcatamente meno aggressive di quelle dei maschi. Questa nostra osservazione, che necessita validazione in modelli sperimentali, potrebbe essere di rilevanza terapeutica permettendo di considerare l’uso di antiandrogeni per la prevenzione o il trattamento della malattia in soggetti a rischio».

«L’impatto più interessante del lavoro è quello di aver dimostrato che un farmaco immunomodulante già in uso per il trattamento della prevenzione del rigetto di alcuni trapianti e per alcune forme neoplastiche, la rapamicina, presenta un alto indice probabilistico, validato da studi in silico e modelli biomatematici, di efficacia nel trattamento dell’infezione del Covid-19 – spiega il docente etneo -. Questa osservazione è interessante perché il farmaco è immediatamente disponibile per “casi compassionevoli” o studi di fase 2 in pazienti con Covid-19 e conferma linee di ricerca precedenti condotte dal mio gruppo e anche da altri come quello di Bob Gallo, co-scopritore del virus HIV con Montagnier. Il meccanismo antivirale della rapamicina, che richiede conferma per il Covid-19, associato ad un suo effetto immunomodulante, potrebbe esercitare simultaneamente un doppio effetto: ridurre la carica virale e impedire la reazione abnorme del sistema immunitario che in alcuni casi può rappresentare la diretta causa della letalità del Covid-19. Occorre però evitare che quadri di immunosoppressione eccessiva da rapamicina determinino l’indesiderato effetto di aumentare la virulenza del Covid-19. Una costante analisi di parametri di funzionalità del sistema immunitario può permetterci di identificare sul nascere eventuali casi di eccessiva immunosoppressione ed intervenire di conseguenza con riduzione delle dosi».

«Ovviamente è assolutamente sconsigliata in questo momento l’automedicazione con rapamicina – aggiunge il prof. Nicoletti -. Il produttore del farmaco ha considerato con interesse in interazioni già avviate la possibilità di sostenere studi pilota con questo farmaco nel trattamento del Covid-19».

«Il lavoro – spiega il dott. Iacobello - è di straordinaria attualità visto che ad oggi esistono due problemi aperti per noi clinici infettivologi nella lotta al Covid-19: la diagnostica in termini di sensibilità e specificità che necessita ancora di essere affinata e migliorata; la terapia che mostra ancora limiti notevoli sebbene si siano compiuti passi avanti rispetto all’inizio della pandemia. La nostra ricerca apre uno spiraglio molto interessante e futuribile nel breve periodo su una molecola già in uso clinico come la rapamicina che potrebbe essere in grado di bloccare lo shedding virale attraverso un doppio meccanismo di azione. Oltre la rapamicina lo studio evidenzia una vasta pipeline di farmaci, alcuni già in uso clinico, che usati singolarmente o in combinazione possono avere un ruolo importante nel nostro corredo farmacologico contro il Covid-19. Penso che così come è avvenuto per HIV e HCV sia più probabile che a fermare la pandemia siano antivirali diretti ancora prima dello sviluppo di un vaccino».

Da sinistra i docenti Klaus Bendtzen  e Yehuda Shoenfeld

Nella foto i docenti Klaus Bendtzen e Yehuda Shoenfeld. In mezzo un grafico sull'utilizzo della Rapamicina

«Sono molto orgoglioso dello studio - afferma il prof. Nicoletti - e grato ai miei collaboratori e ai colleghi di grande fama, i colleghi Shoenfeld e Bendtzen, che hanno intravisto le potenzialità della ricerca. Questo studio non si sarebbe potuto realizzare senza il supporto scientifico e prospettico per l’applicazione clinica dei risultati fornito dal dott. Carmelo Iacobello e dal prof. Placido Bramanti. È importante sottolineare l’impegno profuso dall’assessore regionale alla Sanità Ruggero Razza nella lotta al Covid-19, per i numerosi input ad approcci di prevenzione tramite distanziamento sociale ed uso di DPI e per la ricerca farmacologica per l’identificazione di nuovi agenti antivirali rassicurandoci che la nostra interlocuzione con il sistema sanitario regionale verrà accolta con favore. Riteniamo con orgoglio che la Sicilia potrà avere una forte azione propulsiva nello sviluppo di nuovi approcci terapeutici contro il Covid-19 in un modello simile, per esempio, a quello che il governatore Zaia ha adottato in Veneto. Da questo particolare punto di vista desidero sottolineare che l’autonoma regionale può offrire ampi margini di innovazione anche in ambito medico e biotecnologico e un assessorato proattivo e attento come quello siciliano attuale può rappresentare un’occasione unica per un’integrazione complementare e sinergica del polo politico ed amministrativo con quello scientifico nell’interesse della salute del paziente. La figura del prof. Bramanti che ha grande esperienza nella gestione di sperimentazioni farmacologiche ed interazioni con enti regolatori come l’AIFA è di assoluta importanza e fornisce un’ulteriore nota di forte ottimismo per la prosecuzione degli studi».

«La realizzazione di questo studio rappresenta in primis un successo per l’Università di Catania e per il rettore Francesco Priolo, con il quale collaboro da anni, che ha supportato con grande entusiasmo chi era in prima linea nella ricerca e nelle azioni di internazionalizzazione ed eccellenza targate Unict» conclude il prof. Nicoletti.

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