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Intervento del prof. Giuseppe Inturri, docente di Trasporti del Dipartimento di Ingegneria Elettrica Elettronica e Informatica dell’Università di Catania e delegato del rettore alla Mobilità
La pandemia da COVID-19 non è una sorpresa. Era stata annunziata da Bill Gates nel 2015 e da David Quammen nel 2012 (Spillover: animal infections and the next human pandemic. WW Norton & Company.). Ciò che è sorprendente è la totale impreparazione dei sistemi sanitari e della società in generale, nonostante l’esistenza di numerose sollecitazioni istituzionali a dotarsi di strumenti di pianificazione e gestione dell’emergenza. Per esempio, il Johns Hopkins Center for Health Security pubblicava nel settembre 2019 il rapporto “Preparedness for a High-Impact Respiratory Pathogen Pandemic”, mentre nel sito del Ministero della Salute era già reperibile da tempo il documento “Piano nazionale di preparazione e risposta ad una pandemia influenzale”.
Le cause
Si riconosce che la pandemia è il frutto di uno squilibrio ambientale, generato da una sproporzionata pressione antropica sugli ecosistemi naturali che ha prodotto il salto di specie di un virus (la zoonosi), passato da un pipistrello (forse) all’uomo.
Il virus si sposta con un vettore. In questo caso siamo noi. E si sposta con la velocità della tecnologia disponibile, che è una delle principali cause della rapidità di diffusione del contagio e del numero di paesi interessati. L’umanità è una comunità di 8 miliardi di individui, fortemente interconnessi, che viaggiano da una parte all’altra del pianeta in aereo, in poche ore: una fortuna insperata per un virus. Da qualche decennio, infatti, una nuova disciplina si studia l’impatto della mobilità nella diffusione dei virus su scala globale; si chiama epidemiologia computazionale e mette a disposizione potenti modelli di simulazione in grado di combinare i dati su popolazioni e mobilità umana con elaborati modelli stocastici di trasmissione delle malattie, per fornire previsioni della diffusione di un epidemia e valutazione dell’efficacia delle strategie di intervento che ne minimizzino gli effetti.
I trasporti sono anche una delle cause della rapida diffusione del contagio negli agglomerati urbani dove le persone vivono, si incontrano e si spostano ogni giorno (2,5 spostamenti al giorno in media), percorrendo in media circa 30 km, per diversi motivi (lavoro, studio, acquisti, intrattenimento), con diversi modi di trasporto (a piedi, in bicicletta, con i trasporti pubblici, con la propria auto). Uno studio realizzato dal Comitato di esperti diretto da Vittorio Colao, incaricato dal Governo nazionale di progettare le fasi di ripartenza dopo l’isolamento a casa, ha stimato un numero medio di contatti giornalieri per classe di età, e contesto sociale (casa, scuola, posto di lavoro, trasporti pubblici, tempo libero) variabile tra 10 e 30.
Un studio recente condotto da alcuni ricercatori dell’Università di Catania ha dimostrato, tra l’altro, come la mobilità pendolare e la concentrazione della densità urbana possano contribuire a spiegare il diverso grado di diffusione di contagio nelle regioni italiane.
Gli effetti
Lo studio citato sopra e molti altri hanno dimostrato una forte correlazione tra l’esposizione all’inquinamento atmosferico e il numero di decessi per COVID-19. La Harvard University ad esempio, ha trovato che da un incremento di soli 1 μg/m3 nella concentrazione di polveri sottili (PM2.5) è associato con un aumento dell’8% nelle mortalità per Covid-19.
Dunque, i trasporti ricoprono un ruolo fondamentale, non solo nella diffusione del contagio, ma anche sullo stato di salute dei contagiati. Lo squilibrio modale a favore dell’automobile e le conseguenti concentrazioni di inquinanti (polveri sottili, ossidi azoto, benzene), contribuiscono ogni anno alla morte prematura di circa 80mila persone solo in Italia. E questo è certamente uno dei fattori che contribuisce a spiegare l’anomalo tasso di mortalità in Lombardia, regione tra le più inquinate d’Europa, dove l’apparato respiratorio di molte persone anziane è stato reso vulnerabile all’aggressività del virus da una esposizione prolungata negli anni ad alte concentrazioni di inquinanti.
Le soluzioni
Nella fase di contenimento della diffusione del virus è stato necessario ridurre la mobilità delle persone con restrizioni sempre crescenti: il blocco dei voli, il divieto degli spostamenti intercomunali, sino ad arrivare all’isolamento totale nelle nostre abitazioni In attesa della graduale ripartenza delle attività economiche, i diversi settori produttivi stanno adeguando gli ambienti di lavoro alle condizioni di sicurezza richieste da questo nuovo rischio. Tuttavia, la vera sfida e adeguare i sistemi di trasporto per garantire una mobilità sicura alle persone che torneranno al lavoro, senza perdere la sua efficienza.
L’efficienza del sistema dei trasporti, infatti, è largamente legata alla sua capacità di impiegare pochi veicoli per trasportare molte persone, aumentando il fattore di carico e riducendo nel contempo le percorrenze chilometriche e i relativi impatti (inquinamento, gas serra, consumo di energia, incidenti, congestione). Un principio che vede la sua massima espressione nei trasporti urbani di massa (metropolitane, tram e autobus), unica medicina possibile per il funzionamento di città ammalate dalla dipendenza dell’auto privata, causa di congestione e inquinamento. Tuttavia l’idea stessa della condivisione di un veicolo (shared mobility), sembra impossibile senza violare gli imperativi di distanziamento fisico oggi richiesti. Si chiede di garantire un distanziamento di 1 metro a bordo di un autobus o di una metropolitana, quando prima del Covid-19 le linee più affollate viaggiavano nelle ore di punta con 4-5 passeggeri a metro quadrato. Con la dotazione attuale di veicoli e personale per i trasporti urbani la capacità di trasporto e l’efficienza si ridurrebbe al 25-30%.
Nonostante appaia contro intuitivo, la soluzione a questo problema non è il ritorno ad un uso massiccio dell’auto individuale. La tentazione è forte per tutti: le aziende di trasporto pubblico eviterebbero di assumersi la responsabilità del distanziamento a bordo; i sindaci di mettere in campo nuove soluzioni ed i cittadini si sentirebbero protetti dentro una scatola metallica che li isola da un ambiente ostile.
Se cadessimo in questo errore, la cura sarebbe peggiore del male. Oltre a riprodurre in modo amplificato i noti problemi di congestione, cambiamento climatico, degrado della qualità urbana, occupazione degli spazi pubblici, incidenti stradali, il ritorno alle auto sarebbe la ripartenza delle emissioni inquinanti dell’aria, che abbiamo capito essere tra le principali cause dell’estrema vulnerabilità delle persone agli effetti del contagio del virus.
Due mappe giornaliere catturate dai satelliti del biossido d’azoto trosposferico a confronto, prima e dopo l’emergenza coronavirus. La differenza è evidente e mostra come l’inquinamento nel nord Italia è decisamente calato (fonte: Teleambiente)
In attesa di sapere se il nostro sistema immunitario naturale produrrà un’immunità di gregge o se avremo un vaccino a sostenerlo, è la società nel suo complesso che dovrà mostrare la sua resilienza, organizzando sul territorio una mobilità che riduca le opportunità di esposizione al contagio e la vulnerabilità allo stesso. Una comunità di individui in buono stato di salute è la migliore risposta a questa pandemia e alle altre che inevitabilmente seguiranno. Ci vuole coraggio per trasformare l’emergenza in opportunità e ci vuole fantasia per beneficiare delle potenzialità offerte dalle nuove tecnologie. La sfida è avere tra qualche anno le emissioni di CO2 e la qualità dell’aria di questi giorni e l’interazione sociale di tre mesi fa.
Puntare sulla mobilità attiva
Non bisogna cadere nell’errore che esista una sola soluzione a questo problema. Numerosi suggerimenti provengono da esperti ed associazioni di categorie e i primi esempi di applicazione sono già sul campo. Molte città stanno puntando a disegno dei propri spazi urbani per favorire innanzitutto la mobilità pedonale e ciclistica. Milano, ad esempio, sta revisionando l’assegnazione degli spazi della carreggiata stradale alle diverse componenti del traffico, con la riduzione delle corsie delle auto per ottenere nuovi spazi ciclopedonali e l’ampliamento di quelli esistenti. Non bisogna sottovalutare il contributo che la bicicletta può dare al funzionamento delle nostre città. Una corsia ciclabile può trasportare fino a 7mila persone ogni ora, corsia automobilistica difficilmente supera i mille. Fino a distanze di 6 km la bicicletta è il mezzo più veloce in città, soprattutto in presenza di congestione. Si tratta di mettere in campo una rete ciclabile di emergenza, che derogando temporaneamente dalle regole del Codice della Strada, possa essere realizzata con semplici provvedimenti di segnaletica orizzontale e verticale, a costi estremamente ridotti.
È di fondamentale importanza pensare a incentivi per l’uso delle biciclette a pedalata assistita (e-bike) e per la diffusione di bici a noleggio (bike-sharing).
Fase 2. Milano, parte il progetto piste ciclabili. Iniziati i lavori tra San Babila e Sesto Marelli (fonte: www.rainews.it)
Misure analoghe sono in via di applicazione in molte altre città per fronteggiare il coronavirus: Bogotà ha trasformato 100 km di strade in corsie ciclabili, Berlino e Budapest stanno sperimentando le pop-up bike lanes, corsie ciclabili temporanee per alleggerire il trasporto pubblico.
Anche la mobilità pedonale va tenuta in considerazione. Un terzo degli spostamenti in Italia è inferiore a 2 km, ma solo un quinto si svolge a piedi. Esiste un margine considerevole per incoraggiare questo tipo di mobilità, ideale sempre, ma particolarmente utile durante una pandemia, sia perché è facile garantire il distanziamento, sia per alleggerire le altre modalità di trasporto. Adottare il senso unico di circolazione nei marciapiedi potrebbe ulteriormente ridurre le opportunità di contagio.
L’aumento degli spazi per pedoni e biciclette potrebbe determinare lo sviluppo di un fenomeno emergente nelle nostre città, quello della micromobilità. Con questo termine ci si riferisce dispositivi di trasporto individuali (monopattini, segway, monowheel e hoverbo ard), di piccole dimensioni, di solito a trazione elettrica, il cui esempio più rappresentativo è il monopattino elettrico. Facili da usare, non richiedono infrastrutture particolari, leggeri e agevolmente trasportabili fino in ufficio, eliminando così anche il problema dei furti.
Monopattini elettrici a Washington (foto dell’autore)
Camminare a piedi e andare in bicicletta sono forme di mobilità attiva, hanno enormi benefici: riducono il rischio di moltissime malattie e aumentano il benessere psicofisico. È una mobilità che va incoraggiata e protetta, aumentando le restrizioni al traffico automobilistico. Un’estesa zona del centro urbano in cui la velocità massima fosse ridotta a 30 km/h, renderebbe possibile la coesistenza pacifica di biciclette, micromobilità, pedoni e automobili, senza ricorrere a infrastrutture dedicate (come le piste ciclabili) e favorirebbe la mobilità pedonale di bambini e anziani, spesso esclusi dalla vita sociale nelle nostre strade. La riduzione degli spazi urbani dedicati alla sosta e alla circolazione delle auto potrebbe essere destinata ad aumentare l’occupazione di suolo pubblico, anche sulle aree di sosta, per bar e ristoranti, in modo da garantire il distanziamento fisico richiesto e la redditività dell’attività economica.
Trasformare il trasporto pubblico
Uno spostamento su quattro è effettuato con il trasporto pubblico nelle città italiane con più di 250.000 abitanti. Non è pensabile farne a meno. Bisogna sostenerlo in questo momento di crisi e iniziare a reinventarlo per il futuro. Un terzo di tutti gli spostamenti sono effettuati nelle ore di punta, durante le quali i mezzi pubblici viaggiano oltre la loro capacità e spesso semivuoti nelle ore di morbida. Non possiamo più permettercelo. Dobbiamo ridurre la concentrazione spazio-temporale della mobilità. Ci vuole un’azione sinergica di istituzioni, autorità di controllo dei trasporti, mondo produttivo, dei servizi pubblici e del commercio.
La flessibilità è la parola chiave per la resilienza delle nostre città. Consolidare lo smart working (o lavoro agile per i nemici degli anglicismi); non semplicemente come modalità di lavoro a distanza, ma anche per creare flessibilità nell’articolazione degli orari permette di ottenere una riduzione dell’entità complessiva degli spostamenti (es. quelli per riunioni di lavoro), della loro concentrazione nello spazio (si può usare un ufficio in coworking ovunque ci sia un pc e una connessione) e della loro concentrazione nel tempo, consentendo una finestra temporale ampia per l’ingresso e l’uscita dal luogo di lavoro (spostiamo alcuni spostamenti dall’ora di punta a quella di morbida). La flessibilità riduce il distanziamento a bordo dei mezzi pubblici, senza ridurre il numero di viaggiatori, permettendo di usare meglio le infrastrutture e i servizi della città.
È possibile rendere flessibile anche il trasporto pubblico, che per definizione è rigido: si svolge lungo un percorso fisso (la linea), si accede in punti predefiniti (fermate e stazioni), con orari predeterminati. Il trasporto pubblico flessibile è un servizio il cui percorso, orario di transito e punti di accesso sono variabili, come conseguenza di una prenotazione effettuata dall’utente con uno smartphone anche pochi minuti prima del suo viaggio, e di un potente algoritmo di accoppiamento dinamico tra richieste degli utenti e veicoli in circolazione. È una mobility on demand che può garantire, da un lato il livello di saturazione massimo previsto a bordo (le prenotazioni in eccesso possono essere rifiutate e spostate sulle corse successive), dall’altro un livello di servizio intermedio tra la flessibilità massima dell’uso individuale dell’automobile e la rigidità estrema di una linea di autobus. Non è più l’utente ad inseguire l’autobus, ma l’autobus a cercare l’utente. Parliamo di servizi oggi già esistenti, sviluppati anche da startup innovative siciliane e sperimentate per esempio a Ragusa e Dubai. Possono essere realizzati con veicoli di qualunque dimensione e con funzioni integrate e complementari a quelle del trasporto pubblico tradizionale. L’utilizzo di un’app per smartphone potrebbe, tra l’altro, incorporare alcune forme di tracciamento e “certificazione” dell’assenza di contagiati tra gli utenti che costituiscono la comunità degli utilizzatori.
Il trasporto a domanda è la base genetica di un nuovo modello di mobilità, noto come MaaS (Mobility as a service). È l’integrazione di varie forme di trasporto in un unico servizio di trasporto accessibile anche su richiesta (on demand). Un operatore MaaS fornisce all’utente, mediante un’applicazione, la miglior soluzione di viaggio multimodale, combinando trasporto pubblico, car sharing, taxi, ride sharing, bus on demand. Il servizio è acquistato con un unico pagamento via smartphone. Utenti e veicoli sono tracciati in tempo reale. I dati acquisiti sono usati per migliorare il servizio sia a livello tattico che strategico.
MaaS: mobilità come servizio (Fonte: Torinowireless)
Naturalmente sia il trasporto pubblico flessibile, sia quello convenzionale, devono immediatamente adottare le misure organizzative necessarie a ridurre il rischio di contagio: conteggio automatico dei passeggeri a bordo (es. sensori ottici nelle porte di accesso), misura del grado di affollamento nelle stazioni e alle fermate (es. con telecamere), segni di distanziamento a bordo dei mezzi, riduzione del numero dei posti a sedere, riorganizzazione dei percorsi di salita e discesa a bordo e di ingresso/uscita nelle banchine delle stazioni della metro, fornitura di dispositivi di protezione per personale e passeggeri (mascherine e guanti), controllo della temperatura dei passeggeri, controllo dei sistemi di aerazione, misure di pulizia e sanificazione frequente dei mezzi, dispenser di igienizzante per le mani. Fondamentale anche il ruolo di campagne di comunicazione informative e di sensibilizzazione per consigliare i comportamenti degli utenti che riducono il rischio.
Il mondo produttivo riceverà un sostegno per il blocco forzato delle attività. Anche il trasporto pubblico, in tutte le sue forme, deve beneficiarne. Renderlo gratuito nel breve periodo potrebbe contribuire a scongiurare uno spostamento massiccio sull’uso dell’automobile. L’ Università di Catania lo ha fatto con i suoi studenti, ora è il turno del comune di Catania con i suoi cittadini.
Il ruolo della tecnologia
Fino ad ora la lotta al COVID-19 ha utilizzato strumenti vecchi di qualche secolo: l’isolamento a casa, il distanziamento fisico, le mascherine, l’igiene. Il ruolo della tecnologia nei trasporti non è ancora stato messo in campo pienamente. I veicoli in movimento possono essere localizzati via GPS, gli spostamenti individuali possono essere tracciati via smartphone, la prossimità e la durata dell’interazione tra gli individui può essere ricostruita e la catena dei contagi spezzata. Certo, nonostante le garanzie di anonimità e di immagazzinamento temporaneo dei dati, privacy e libertà individuale sembrano minacciate da tutto questo, ma forse è un sacrificio temporaneo meno pesante della costrizione a casa per due mesi. Il tracciamento aggregato degli spostamenti, tra l’altro, consentirebbe il monitoraggio continuo del distanziamento medio a bordo dei veicoli nelle diverse fasi di allentamento delle restrizioni per la messa in campo di interventi di adeguamento in tempo reale della la gestione del traffico pubblico e privato.
Andamento del traffico medio a Catania in termini di aumento percentuale del tempo di percorrenza rispetto all’assenza di traffico. Curva rossa continua periodo 26.4.20-2.5.20, curva rossa tratteggiata settimana precedente, curva blu valore medio 2019. (Fonte:Tomtom)
Una visione per il futuro
Nelle situazioni di emergenza è normale prendere decisioni in modo puramente reattivo, per proteggersi da un pericolo immediato. Questo è ancora il momento di reagire per controllare la pandemia, ma guidati da una visione più strategica.
Serve il coinvolgimento e la partecipazione attiva di tutte le componenti della nostra comunità, decision-maker, esperti, parti sociali, cittadini, valorizzando il prezioso contributo delle associazioni locali, che sono state tra le prime ad offrire il loro contributo di idee e impegno (Proposte di Legambiente).
Bisogna assicurarsi che nella ripartenza siano inclusi i soggetti più vulnerabili per evitare che l’emergenza amplifichi la disuguaglianza sociale: un ritorno massiccio all’auto privata lascerebbe bambini, anziani, disabili e persone a basso reddito escluse da una accessibilità autonoma alla vita sociale della città.
È necessario capitalizzare alcuni risultati già ottenuti, come ad esempio, il sistema delle consegne alimentari a domicilio che, sviluppatosi sull’organizzazione spontanea di piccoli esercizi commerciali e produzioni a chilometro zero, ha determinato un riequilibrio economico rispetto alla sproporzionata invadenza dei centri commerciali. È utile consolidare lo smart working, come sistema ordinario di lavoro da affiancare e integrare con quello convenzionale, per facilitare la conciliazione tra vita e lavoro che abbiamo sperimentato in questi giorni. Un concreto sostegno alla digitalizzazione di famiglie, imprese e servizi si trasformerebbe in una riserva di resilienza della città e della sua capacità di autorganizzazione.
Bisogna ripensare al metabolismo delle nostre città, i tempi, gli orari, redistribuendo la domanda di mobilità nelle 24 ore, sfruttando la tecnologia per evitare code, congestione e assembramenti, che anche in assenza di virus, sono comunque fonte di inefficienza. Puntare sull’accessibilità, più che sulla mobilità, riprogettando una città dove i servizi essenziali diventano raggiungibili a piedi in un tempo inferiore a 15 minuti, il messaggio chiave del manifesto del sindaco di Parigi.
Bisogna ripensare e potenziare il ruolo del Mobility Manager di area che in ogni comune, nelle intenzioni del legislatore (DM 20/12/2000), deve contribuire al coordinamento delle azioni del comune, delle aziende di trasporto e dei Mobility Manager aziendali per ridurre gli impatti della mobilità dei lavoratori. Bisogna dare un vero ruolo ai Mobility Manager scolatici, figure introdotte recentemente dalla normativa (L. 221/2015), su base volontaria, ma ancora privi di competenze e strumenti.
Bisogna reindirizzare il rilancio economico e la conseguente mobilità con una chiara adesione agli obiettivi di sostenibilità definiti da Agenda 2030: decarbonizzazione, indipendenza energetica, qualità dell’aria come misura di resilienza sanitaria, promozione della produzione locale e logistica urbana elettrica, integrazione sviluppo della mobilità sostenibile con la riqualificazione degli spazi sociali della vita urbana.
Nel complesso rapporto tra trasporti e Covid-19 i trasporti sono dunque parte della causa (la mobilità favorisce l’interazione sociale e amplifica i contagi), parte degli effetti (la vulnerabilità indotta dall'inquinamento da traffico è una concausa dei decessi la morte dei contagiati), parte della soluzione (una mobilità attiva migliore la salute e meno auto riducono la nostra vulnerabilità).
I grandi temi del cambiamento climatico e dello sviluppo sostenibile che animavano il dibattito pochi mesi fa, non sono estranei all’emergenza pandemica che stiamo vivendo, sono tutti originati dalla fragilità della nostra società e dalla loro natura globale, sia nelle cause che negli effetti. Dalla capacità di dare risposte strategiche istituzionali a livello globale e di gestire con responsabilità individuale le azioni a livello locale dipenderà gran parte del prossimo futuro della nostra società.