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Il sito del nuovo organo ufficiale d'informazione d'ateneo è accessibile all'indirizzo www.unictmagazine.unict.it
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Intervento del prof. Maurizio Caserta sui costi e benefici del lavoro agile e sul cambiamento della geografia delle attività commerciali, culturali e ricreative
In un’economia non conta solo quali e quanti beni e servizi vengono prodotti e scambiati, ma anche quando e dove ciò avviene. La pandemia ci ha insegnato che le distanze fisiche e le distanze temporali contano. Se qualcosa serve adesso e qui, può fare la differenza sapere che la sua produzione avviene a poca distanza. Abbiamo anche imparato che a volte è bene che le distanze siano grandi. Se qualcosa è prodotta a grande distanza, non sorgeranno tutti i problemi legati al contatto fisico ravvicinato. Insomma abbiamo scoperto che a volte è bene essere vicini, ma a volte è bene essere lontani. Si tratta di trovare di volta in volta la ‘misura’ corretta.
La corretta misura
Il cosiddetto smart working delocalizza la produzione dei servizi al di fuori dei tradizionali luoghi di produzione. È quindi una misura che accentua le distanze dal luogo della erogazione dei servizi finali. Nelle circostanze di una pandemia questa misura è stata ritenuta utile in molti luoghi di lavoro per ridurre gli effetti dannosi della concentrazione dei lavoratori. Gli effetti dannosi, il contagio, di tale delocalizzazione sono stati talmente evidenti che non è stato necessario fare un calcolo dei costi e dei benefici. I vantaggi superavano abbondantemente i costi. In circostanze non estreme, bisognerà rifare i calcoli per capire quali sono i costi e i benefici.
Costi e benefici
I profili cui bisogna prestare attenzione per calcolare i vantaggi netti dello smart working sono diversi. I principali riguardano la qualità dei servizi erogati, la loro efficienza, il benessere dei lavoratori. Se la qualità dei servizi cresce, se il costo di produzione si riduce e se i lavoratori stanno meglio, sarà bene adottarlo in modo stabile. Ma se anche solo uno di questi profili peggiora a seguito della delocalizzazione, bisognerà far bene i calcoli per vedere se i vantaggi sono così rilevanti da compensare i costi.
Questo calcolo tuttavia è un calcolo troppo angusto; non tiene conto di una serie di effetti indotti che possono sia migliorare sia peggiorare il quadro generale. La scelta della delocalizzazione allenterà la pressione sulle città, sui mezzi di trasporto, riducendo gli effetti esterni negativi di quella pressione, ma allenterà anche la pressione sulle attività economiche fortemente dipendenti proprio dalla concentrazione dei lavoratori in una certa zona delle città, mettendole in difficoltà. Queste non godranno più di una domanda stabile legata ai flussi giornalieri dei lavoratori. Quella domanda si sposterà nelle parti periferiche della città o nelle piccole città di provincia, dove i lavoratori risiedono. La geografia delle attività commerciali, culturali e ricreative cambierà.
Un’altra geografia, altre economie
Quest’ultima non è una cattiva notizia. Come ha dimostrato la tragica pressione sugli ospedali nel nord del paese, i problemi si curano a monte. Si scende a valle solo nei casi estremi. In quel caso è stata assente la medicina territoriale, quella più vicina ai malati.
Più in generale ha fallito il modello per il quale tutte le attività sono concentrate nell’area che garantisce la maggiore efficienza. Questo modello è definitivamente superato.
È smart working lavorare da casa, ma anche lavorare nella propria regione. Sicuramente si perderanno le economie di scala; ma si guadagneranno le economie di prossimità, quelle economie che rispettano la diversità e sanno fornire ciò che veramente serve alle famiglie ed alle imprese.
Viva lo smart working.