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Il prof. Salvatore Zappalà: «Occorre un rilancio dell'iniziativa politica oltre a stimolare e a rafforzare i meccanismi e gli strumenti di cooperazione internazionale»
L'emergenza COVID-19 ha posto tutti di fronte ad una situazione nuova, alla quale eravamo impreparati. Le reazioni alle emergenze pongono al giurista il problema di confrontarsi con una risposta eccezionale che, tipicamente, si pone al di fuori della disciplina ordinaria, anche se in molti ordinamenti deve rispettare certi parametri di fondo. Spesso in queste situazioni la necessità entra in gioco e il quadro normativo preesistente può non essere adeguato a fornire risposte, o per lo meno non tutte le risposte. Questo vale a livello interno, vale a livello internazionale.
In effetti bisognerebbe sempre andare alla ricerca dei principi di fondo di ogni ordinamento per capire come articolare al meglio la reazione, ma spesso non c'è serenità e tempo sufficiente per farlo, o, peggio, si vuole sfruttare la situazione per altri fini (preservare e rafforzare il potere).
Sotto il profilo del diritto internazionale e dell'Ue, già da varie settimane, i blog giuridici di tutto il mondo si sono scatenati nell'analisi di quello che sta succedendo di fronte alla veloce evoluzione della pandemia e commentano le reazioni adottate in vari Paesi, o ancora esaminano l'azione dell'Oms, o l'inazione del Consiglio di Sicurezza dell'Onu, o lo stallo in cui si trova l'Ue, o la compatibilità con la Convenzione europea di questa o quella misura. Per il diritto internazionale, un'ottima analisi in tre “puntate” sugli obblighi di “due diligence” degli Stati viene offerta da un blog europeo di primo piano, quello dell'European Journal of International Law (Ejiltalk), a cura di un nostro laureato in giurisprudenza, ex allievo della Scuola Superiore di Catania, Antonio Coco, attualmente professore a Essex.
Sulle numerose pubblicazioni online di queste settimane si legge di vari aspetti che potrebbero entrare in gioco: inefficienza delle istituzioni internazionali; danni provocati dalla Cina agli altri Paesi e le eventuali responsabilità (dei giorni scorsi l'idea di fare ricorso alla Corte Internazionale di Giustizia); strumentalizzazione da parte dei regimi autoritari di questa epidemia in violazione dei diritti fondamentali e dei principi dello stato di diritto; rischi per la protezione dei dati personali a seguito dell'accelerazione del mondo-digitale; coerenza con il quadro normativo internazionale delle misure che bloccano o sospendono aspetti del commercio internazionale.
Molti di questi contributi pongono in evidenza aspetti della realtà che guardano al presente e al futuro con gli occhi (del diritto) del passato. In realtà ho l'impressione che domani potrebbe essere tutto diverso. Ci sarà molto da “costruire” o ricostruire, ma difficilmente potrà essere fatto fondandosi esclusivamente su quello che abbiamo saputo (o creduto di sapere) sino ad oggi. Potrebbe essere auspicabile uno sforzo maggiore degli studiosi di diritto internazionale per tracciare nuovi scenari e progettare istituzioni internazionali più efficaci, che riescano a reagire più rapidamente. In situazioni di emergenza spesso capita che le norme si formino in maniera accelerata, ma soltanto dopo si capisce se sono destinate a prevalere e a durare (a creare un nuovo ordine internazionale).
Quello che servirebbe è un rilancio dell'iniziativa politica; ancora la dimensione della crisi non è stata pienamente individuata né “assorbita”. L'Ue, che è in una spirale devastante già da qualche anno (forse decenni), è l'esempio più chiaro. Davanti ad una crisi sistemica come questa o l'Ur riesce a trovare una sua nuova identità e una sua strada, o potrebbe non avere più senso parlare di Ue, di Europa Unita. L’unità richiede la consapevolezza che si condivide un medesimo destino. Se nemmeno in questa situazione, davanti a una epidemia che si sta diffondendo dimostrando che siamo tutti, per lo meno potenzialmente, nella stessa condizione, si riesce a fare prevalere le ragioni di unità e solidarietà, allora pare difficile riuscire a recuperare il progetto eurounitario.
Alcuni Paesi europei (e i loro leader) non vedono (ancora?) l'epidemia di COVID-19 in questa prospettiva e pertanto non avvertono l'urgenza di tale riflessione.
A livello internazionale, in fondo, accade lo stesso. Non c'è consenso pieno sulla dimensione della crisi generata dall'epidemia. Storicamente ogni articolazione dell'ordine mondiale ha avuto delle potenze dominanti, saranno quelle potenze a disegnare l'assetto complessivo. Il contributo che il diritto internazionale può dare è di prospettare due fondamentali orizzonti: ipotesi di sovranità statali rafforzate con riduzione di scambi con l'esterno e inevitabilmente crescenti contrapposizioni (in sostanza: ci si salva ergendo barriere e ci si scontra); rafforzamento della cooperazione internazionale. Ma all'interno di ciascuna di queste prospettive ci sono poi declinazioni diverse per le varie tematiche: dalla tutela dell'ambiente alla protezione dei diritti umani, dalla gestione del disarmo al mantenimento della pace e sicurezza internazionali.
Le istituzioni internazionali hanno contribuito a creare quel tessuto di interazioni indispensabili anche soltanto per coordinare gli sforzi nazionali. In particolare l'Oms, che nel sistema Onu è l’istituzione incaricata di occuparsi delle tematiche relative alla sanità, ha seguito l'epidemia sin dall'inizio. Saremmo stati in grado di reagire meglio all’epidemia senza l'Oms? Non credo proprio, anzi.
Ed è questo il punto: questa crisi, questa emergenza ci dovrebbe stimolare a rafforzare i meccanismi e gli strumenti di cooperazione internazionale. Se è vero che la globalizzazione è andata in crisi per l’incapacità di reagire efficacemente alle diseguaglianze provocate dai crolli finanziari, è altrettanto vero che la ricetta per superare i problemi di un mondo inevitabilmente più interconnesso, non può essere il ritorno dietro gli steccati dei confini nazionali, che per quanto rassicuranti non sono adeguati a gestire la crescente complessità delle sfide del nostro tempo.
Tra i segnali positivi di adesione a questa prospettiva, mi pare si possa segnalare il lavoro condotto in questi giorni dall'Assemblea Generale dell'Onu che – nonostante la chiusura della sede delle Nazioni Unite per il COVID – ha adottato a distanza il 2 aprile (188 cosponsors della risoluzione su 193 stati membri) una risoluzione sulla pandemia, intitolata Global Solidarity to Fight COVID-19 che potrà diventare un documento storico, anche sotto il profilo procedurale. È una testimonianza della determinazione di tutti gli Stati di fare funzionare, in queste circostanze, l'istituzione simbolo della cooperazione mondiale e di condividere il forte appello alla solidarietà internazionale, invocato dal Segretario generale dell'Onu António Manuel de Oliveira Guterres.
Resta, infine, l'auspicio che, rapidamente, anche il Consiglio di Sicurezza, accogliendo gli appelli del Segretario Generale e del Papa, possa seguire l'esempio dell'Assemblea generale e adotti una risoluzione che disponga il cessate il fuoco in tutti i conflitti armati in corso (dalla Siria allo Yemen), proprio in ragione dell'epidemia.