Sito non più aggiornato
Il sito del nuovo organo ufficiale d'informazione d'ateneo è accessibile all'indirizzo www.unictmagazine.unict.it
Il sito del nuovo organo ufficiale d'informazione d'ateneo è accessibile all'indirizzo www.unictmagazine.unict.it
Intervento del prof. Alessio Emanuele Biondo, associato di Politica economica del dipartimento di Economia e Impresa dell'Università di Catania
Sappiamo tutti quanto il coronavirus abbia inciso sulla vita del nostro Paese. Attività produttive ferme, ospedali sotto stress, divieti di circolazione, povertà. Anche chi non ha conosciuto la guerra, avrà un’idea di negozi chiusi e strade deserte e una mezza idea del coprifuoco e della sensazione di pericolo incombente. Doveva per forza andare così? I sacrifici fatti sono serviti a qualcosa? Cosa abbiamo imparato?
Sanità pubblica sottofinanziata
Alla prima domanda non è facile rispondere. Moltissimi Paesi in Europa e nel resto del Mondo hanno frenato la libera circolazione delle persone, in modo più o meno simile al nostro. Noi però abbiamo fatto più di tutti, più a lungo. Perché? Per la carenza di servizi sanitari del nostro Paese. Non avremmo potuto fronteggiare i contagi senza saturare il sistema sanitario. Dunque, non sbaglia chi dice che non si sarebbe potuto fare molto diversamente. Sbaglia di grosso, però, chi pensa che sia stata tutta colpa del coronavirus. La maggior parte della colpa è dell’aver sottofinanziato, nel tempo, la sanità pubblica. Prima di covid-19, avevamo poco meno di un quinto dei posti ospedalieri su cui poteva contare la Germania, a fronte di una popolazione minore di circa un terzo. I motivi sono l’errore della politica poco lungimirante e la scarsità di risorse causata dall’enorme evasione fiscale.
Un piano di chiusure a comparti regionali differenziati
Andando alla seconda domanda, i sacrifici che abbiamo sostenuto sono enormi. Non avendo la cura, tutto sembra servito solo a far capire l’importanza del distanziamento sociale. Infranto quello, il contagio è pronto a ricominciare. Studiando i dati dell’epidemia proprio durante le sue fasi più acute, assieme ad altri colleghi dell’Ateneo di Catania con la ricerca dal titolo "A Novel Methodology for Epidemic Risk Assessment: the case of COVID-19 outbreak in Italy", ci siamo accorti che le regioni d’Italia non fossero tutte esposte allo stesso modo rispetto al dilagare dell’epidemia, nonostante che tutte fossero state certamente raggiunte dal virus. Le condizioni d’inquinamento atmosferico, la temperatura, la densità abitativa e degli insediamenti ospedalieri, la consistenza demografica, l’età e la mobilità della popolazione, spiegano che il rischio epidemico vada considerato diversamente, in territori diversi. Pertanto, un piano di chiusure a comparti regionali differenziati sarebbe stato preferibile, bloccando i movimenti fra le regioni ma lasciando aperte molte attività economiche. La chiusura indiscriminata ha indebitato il nostro Paese in modo gravoso e, direi, quasi irreversibile se non ci fosse ancora l’ultima partita da giocare sugli aiuti dall’Unione Europea. L’indebitamento inefficace non appare la ricetta più lungimirante per il Paese.
Una politica lungimirante per salvare la società
La terza risposta è che abbiamo imparato a nostre spese che anche i servizi che diamo per scontati, vanno sostenuti con continuità, senza bisogno di aspettare l’emergenza. Abbiamo guardato in faccia il miraggio di restare a casa e ricevere sussidi (che non sempre sono arrivati). E’ un incubo: non si può dividere una torta senza prima farla! Nella sanità, misuriamo il danno con la morte e le sofferenze di tante persone. Ci sono servizi il cui degrado ha sintomi non altrettanto evidenti, seppur non meno gravi. L’istruzione soffre, a scuola e all’università. Senza una lungimirante politica che edifichi i giovani attraverso l’istruzione, la nostra società sarà presto finita.
La malattia cronica del nostro Paese è, dunque, la miopia. Abbiamo pagato un acconto, ma non per comprare gli occhiali giusti. Spinti solo da ciò che è così vicino da poterlo toccare, camminiamo spesso su un percorso di vanità personali e parole vacue, dal quale è impossibile guardare al domani. La società si inaridisce, chiede alla politica obiettivi contingenti e, dunque, del tutto provvisori. La politica improvvisata propone provvedimenti disegnati male. Cosa, dunque, abbiamo imparato? Che questo modo di fare è sbagliato, che si raccoglie ciò che si è seminato, che pagano soprattutto i più deboli. Tutto sommato, nulla di nuovo. Meno male che quest’estate si potrà andare al mare!! Speriamo solo che non mettano i separatori di plexiglas sulla spiaggia, perché potrebbe fare caldo…